Un grandissimo appassionato della Formula 1 e della sua
storia come me non poteva non dedicare un articolo del mio blog a questo sport
e, soprattutto, ai protagonisti che hanno fatto di questo incredibile
spettacolo poesia, arte, vita e morte.
Oltre
alle doti immense di ingegneri e progettisti che hanno dedicato la propria vita
a costruire monoposto sfidando aerodinamica, legge della gravità e della fisica
il vero cuore pulsante di questo sport sono i piloti. Eroi senza tempo che dai
primi anni cinquanta si sfidano su circuiti storici, volando a più di 320 km/h
con bolidi incollati all’asfalto.
Con
il passare degli anni la sicurezza sia nei circuiti e sia sulle monoposto è
diventata fondamentale, mettendo giustamente in primo piano la vita del pilota.
Per
troppi anni ragazzi di tutte le nazioni hanno perso la vita sull’asfalto per
mancanza di sicurezza, per vie di fuga su circuiti completamente assenti e per
auto costruite solo ed esclusivamente come tentativi di andare più forte della
concorrenza, utilizzando materiali di fortuna e, troppo spesso, fatali in casi
di incidenti.
Ciò
che non è mai cambiato è la forza, la passione con le quali i piloti ogni Gran
Premio si accomodano sulla loro vettura, domandandosi se arriveranno mai sani e
salvi al traguardo.
Ma
cosa è esattamente che appassiona così tante persone sparse nell’universo a
questo sport? Non è solo l’aspetto tecnico delle auto ma l’umanità, il coraggio
del pilota.
Così
superuomo e così fragile allo stesso tempo quando sale sulla propria auto, così
emozionante quando sfreccia giro dopo giro sotto i nostri occhi.
Per
questo voglio raccontare, brevemente, la storia di uno di questi eroi, un
pilota che verrà ricordato per un unico gesto, per la sua disperazione più che
per le imprese a bordo di una monoposto.
Un
pilota che non ha mai raccolto un solo punto nella sua carriera, che vanta come
miglior piazzamento un misero nono posto ottenuto nello storico circuito di
Monza, in Italia nel 1973.
Si
chiama David Purley, nato a Bognor Regis in Inghilterra il 26.01.1945 e
deceduto nella stessa città, a bordo di un aereo acrobatico, durante
un’esibizione, il 02.07.1985 dopo che si era ritirato come pilota di Formula 1
già da qualche anno.
Nel
1973 viene ingaggiato dalla Scuderia Britannica March Engineering che gli offre
il posto di seconda guida sulla monoposto 731, da affiancare all’altro pilota
rampante Inglese Roger Williamson.
La
March non è sicuramente una delle scuderie che può vantare grande impatto
economico e la vettura si dimostra molto scarsa.
Purley
riesce a qualificarsi per il Gran Premio di Polonia e per il Gran Premio
casalingo, a Silverstone dove però non riesce a giungere al traguardo.
Il
suo terzo Gran Premio diventerà, suo malgrado, la corsa più famosa alla quale
abbia partecipato.
Si
corre a Zandvoort, lo storico circuito olandese, il 29.07.1973. Jackie Stewart
e Francois Cevert sono i favoriti, la Tyrrel Ford che guidano hanno un passo in
più delle avversarie più temibili, le Lotus Ford di Ronnie Peterson e del
campione del mondo uscente Emerson Fittipaldi. Il grande caldo di quell’estate
cuoce i motori Ford delle due Lotus e le Tyrrel volano verso una splendida
doppietta mentre il rampante James Hunt a bordo di una sorprendente Hesketh combatte per il terzo posto con la McLaren del ‘Golden Boy’ Americano Peter
Revson.
All’ottavo
giro, nelle retrovie, la March 731 del promettente Roger Williamson perde il
controllo della vettura. L’auto si ribalta e scivola a 250 km/h contro il
guard-rail prendendo fuoco. Williamson si trova intrappolato nella monoposto
capovolta, in fiamme.
C’è
molto fumo in pista e le auto sfrecciano velocemente, senza fermarsi e senza
capire cosa stia succedendo.
Pochi
metri dopo l’impatto, giunge il compagno di squadra di Williamson, David Purley
a bordo della seconda March.
David
vede le fiamme, il fumo e parcheggia la sua auto.
Esce
velocemente dalla sua monoposto, attraversa pericolosamente il circuito e corre
freneticamente per una ventina di metri verso la macchina in fiamme di
Williamson.
Ciò
che accadrà nei minuti successivi è qualcosa che non si dimenticherà mai in
questo sport. In presa diretta tutto il mondo si accorge della mancata presenza
dei mezzi di soccorso sul circuito ed assistono ad un uomo, spogliato della sua
figura di professionista che, da solo, con un estintore di fortuna prova a salvare la
vita del suo compagno, collega, amico, pilota. Chiede alle persone che giungono
sul posto di fermarsi, di aiutarlo a capovolgere l’auto per estrarre
Williamson.
Nessuno
si ferma, né altri piloti, né altre persone presenti sul circuito.
L’incidente
di Williamson si rileverà fatale, morto carbonizzato all’interno di quel che
rimarrà della sua March 731.
David
Purley si contorce dal dolore, ha un mancamento e se ne va distrutto, disperato
dal non avere potuto fare niente senza aiuto.
Fu
la prima volta nella storia della Formua 1 che un pilota si ritirò di spontanea
volontà per soccorrere un collega. Il gesto è entrato nella storia e David
Purley rimane, anche oggi, un dei veri eroi di questo sport.
La
sua carriera non prese mai il volo. Nel 1974 passò alla piccola Scuderia
indipendente della Token non riuscendo mai a qualificarsi per un Gran Premio.
Nel 1975 acquistò una monoposto privata a la chiamò LEC, nome dell’azienda
famigliare che produce frigoriferi.
Il
miglior piazzamento fu un tredicesimo posto al Gran Premio del Belgio di
Spa-Francochamps.
Quello stesso anno, a Silverstone, Purley fu protagonista
della più incredibile decelerazione mai vista. Per la rottura di un’ala Purley
si schiantò contro il muro della curva due del circuito inglese passando da 163
km/h a 0 km/h in appena 63 centimetri. Purley miracolosamente uscì dal
terribile incidente vivo ma con varie
fratture in tutto il corpo che lo portarono al ritiro dalla Formula 1.
I
rottami della LEC 1 sono attualmente esposti al museo della storia della
Formula 1 a Donnington, Inghilterra.
Vi
lascio accompagnati dal tragico video di quel giorno, il 29 luglio del 1973 a
Zandvoort.
Le
immagini sono molto forti e violente ma vale la pena assistere al coraggio, l’umanità
e la tristezza di un uomo, con un casco nero in testa, solo contro tutti che
prova a salvare una vita umana.
La
corsa quel giorno non si interruppe. Le Tyrrel vinsero con facilità, il
campione Jackie Stewart si impegnò, da quel giorno, in una lunga battaglia per
la sicurezza dei piloti in tutti i circuiti del mondiale.
David Purley, eroe.
Come
non ce ne sono più oggi, in questo mondo in cui vincere rimane la cosa più
importante senza remore e senza umanità.
Buona
visione e ricordate che il tempo distruggerà ogni cosa.
Tranne
i veri eroi, i coraggiosi e chi pensa che la solidarietà umana sia sempre la
cosa più importante, oltre l’indifferenza.