‘Per
me Robert Johnson è il più importante musicista blues mai vissuto. Non ho mai
trovato nulla di più profondamente intenso. La sua musica rimane il pianto più
straziante che penso si possa riscontrare nella voce umana.’
Eric
Clapton – Intervista pubblicata nel booklet del doppio album Robert Johnson –
'The completed Recordings'.
Carissimi
lettori, eccomi tornato dopo la pausa estiva contraddistinta da enormi
cambiamenti e da abitudini da costruire e da lasciarsi alle spalle. Ma questo è
già un altro discorso. Siamo tutti portati a lamentarci, a piangere sulle
nostre disgrazie e a prendercela con delle situazioni non definite, cose
astratte come il destino, il fato e le coincidenze.
Per
questo l’uomo ha avuto bisogno di sfogare questi lamenti, questa frustrazione
al limite tra l’autoreferenzialità ed il vittimismo. Ecco perché l’uomo ascolta
la musica, ecco perché gli esseri umani, da sempre, ascoltano il blues.
E’
da un lamento che, nel 1931 a Copiah County –
Mississipi - , un ragazzo di colore disperato ed ubriaco fradicio di nome
Robert Leroy Johnson (nato ad Hazlehurst l‘ 08.05.1911) inventa il blues.
Vagava
da mesi in cerca di una sistemazione, tra i villaggi del Mississipi, lacerato
dalla morte della sua giovane moglie sedicenne Virginia Travis, deceduta mentre
dava alla luce il suo primo figlio. Senza famiglia, senza casa, senza soldi e
con tanta rabbia in corpo Robert trascorre le sue giornate tra donne e whiskey
cercando, ogni tanto, un pezzo di legno con delle corde per strimpellare
qualche nota e raccontare delle storie.
La
musica diventa una vera e propria passione, la sua unica e nuova ossessionante
compagna di vita. Ogni sera modella quel pezzo di legno e cambia la
sistemazione delle corde, ogni ‘fuckin’ night’ si esibisce davanti ad ubriachi
del posto con una chitarra diversa, innovativa. Ma ciò che più impressiona è il
movimento delle dita sulle corde, virtuosismi mai visti a velocità pazzesche.
Musica che risuona in maniera sempre più complicata e complessa con testi
strazianti di vita vissuta, amori perduti, solitudine e cuori spezzati.
Il
suo modo di suonare diventa una stupefacente tecnica chitarristica basata
sostanzialmente sul 'fingerpicking' e tuttora additata come una delle massime
espressioni del blues; le evocazioni generate dalla sua voce e dalle sue
complesse strutture chitarristiche; il sinistro contenuto dei suoi testi, pur
largamente improvvisati (come era ovvio per il genere, all’epoca), spesso
narranti di spettri e demoni quando non esplicitamente riferiti al suo patto
con il diavolo in persona.
Già.
Il patto con il diavolo, l’inizio di tutto. L’inizio del primo vero genere
musicale mai inventato, il Delta Blues, dal nome della zona nella quale Robert
Johnson deliziava la sua platea di ubriachi con dei capolavori. Dal nome del
bivio, il crossroads, dove il fiume Mississipi si divide per prendere due
strade diverse.
E'
lì narra la leggenda, che il giovane bluesman avesse stretto un patto con
il diavolo, vendendogli la sua anima in cambio della capacità di poter suonare
la chitarra come nessun altro al mondo.
Ad
alimentare la leggenda ci sono i racconti dei vari musicisti che lo conobbero e
che riferiscono la sua iniziale goffaggine nel suonare la chitarra. In base a
queste testimonianze (tutte concordanti), Johnson scomparve dopo la morte della
moglie per poi riapparire dopo un anno dotato di una bravura straordinaria, una
bravura nel maneggiare quel pezzo di legno tale da lasciare tutti allibiti.
Tra
il Novembre del 1936 e il Giugno del 1937 Robert Johnson lascerà il suo segno
indelebile nel mondo della musica e della cultura incidendo 29 canzoni in una
camera d’albergo di proprietà di uno scopritore di talenti dal nome di Ernie
Ortle, una sorta di primo talent scout.
Queste
tracce verranno poi suonate e riproposte decennio dopo decennio dai più
importanti gruppi rock, blues e funky della storia della musica decretandone
definitivamente l’importanza e classificando Robert Johnson come pietra miliare
della storia della musica, fonte d’influenza per numerosissimi musicisti.
Il
23 Gennaio del 1986 viene introdotto nella Rock And Roll Hall Of Fame nella
categoria Early Influences e definito il secondo migliore chitarrista della
storia inferiore soltanto a Jimi Hendrix.
Anche
la morte di Robert Johnson, avvenuta a Greenwood il 16 Agosto del 1938, a soli 27 anni rimane
avvolta nel mistero.
Testimoni,
tra i quali il musicista Sonny Boy Williamson II, hanno più volte confermano
che Johnson la notte del 13 Agosto 1938 si trovava a suonare con loro al Three
Forks, un locale situato a 15
miglia da Greenwood nel quale i tre suonavano ogni
sabato sera a seguito di un ingaggio che durava da alcune settimane. Era
apparso subito evidente come Robert Johnson avesse una storia con la moglie del
gestore del locale, il quale era consapevole del fatto ma che non aveva cessato
di contattarlo per esibirsi.
Racconta
Sonny Boy che durante la serata, complici l’alcol e l’atmosfera di grande
eccitazione, gli atteggiamenti dei due furono talmente spudorati da risultare
persino imbarazzanti. Altrettanto chiara era la rabbia dipinta sul volto del
barman.
Quando
durante una pausa venne passata a Robert una bottiglia da mezza pinta di
whiskey senza tappo, Sonny Boy gliela fece cadere di mano avvertendolo che non
era prudente bere da una bottiglia aperta; nondimeno questi s’infuriò e bevve
con stizza la successiva bottiglia, ugualmente passatagli, già stappata. Poco
dopo risultò evidente che Johnson non era più in condizione di suonare al punto
che lasciò la chitarra e si alzò per andare via, in stato confusionale. Fu
accompagnato a casa di un amico, dove poche ore iniziò a delirare – si trattava
dei primi segni di avvelenamento.
In
quel luogo morì il martedì successivo, dopo due giorni di intensa agonia.
La
vera tomba di Robert Johnson non è ancora ufficialmente definita. Nei dintorni
di Greenwood ci sono ben pietre tombali con il suo nome inciso sopra.
Nella
foto ecco quella di Quito, Mississipi poco distante da Greenwood, situata nel
cimitero di Payne Chapel recante la scritta ‘Resting in the Blues’ come tributo
assoluto ed ultimo saluto all’inventore del genere Delta Blues e del
fingerpicking.
Di
lui restano frasi e storie che ancora oggi lacerano cuori e scavano nel nostro
profondo dell’anima. Sembra quasi sentire ancora la sua voce e la sua lunga
litania quando ascoltiamo un suo brano. Come questa frase emblematica del pezzo
‘Hellhound on my Trail’.
‘I got to keep movin’, blues
falling down like hail. And the day keeps on worryin’ me…there’s a hellhound on
my train.’
‘Devo
correre, il blues scende come grandine. La luce del giorno continua a
tormentarmi…c’è un segugio infernale sulle mie tracce.’.
Ecco
le 29 tracce registrate tra Lunedì 23 Novembre 1936 e Domenica 20 Giugno 1937:
1) Kindheart Woman Blues
2)
I Believe I’ll Dust my Broom
3)
Sweet Home Chicago
4)
Rambling On My Mind
5)
When You Got a Good Friend
6)
Come On In My Kitchen
7)
Terraplane Blues
8)
Phnograph Blues
9)
32-20 Blues
10)
They’re Red Hot
11)
Dead Shrimp Blues
12)
Cross Road Blues
13)
Walking Blues
14)
Last Fair Deal Gone Down
15)
Preaching Blues (Up Jumped The Devil)
16)
If I Had Possession Over Judgement Day
17)
Stones In My Passway
18)
I’m a Steady Rollin’ Man
19)
From Our Till Late
20)
Hellhound On My Trail
21)
Little Queen Of Spades
22)
Malted Milk
23)
Drunken Hearted Man Take
24)
Me and The Devil Blues
25)
Stop Breakin’ Down Blues
26)
Traveling Riverside
Blues
27)
Honeymoon Blues
28)
Love In Vain Blues
29)
Milkcow’s Calf Blues Take
Numerosi
sono i gruppi che ancora oggi interpretano I brani di Robert Johnson
arraggiandoli in maniera sempre diversa ma inequivocabilmente ed irrimediabilmente
blues. Tra le più famose cover spiccano quelle dei Rolling Stones riferite a
‘Love In Vain’ (Album ‘Let It Bleed’ del 1969) e ‘Stop Breakin’ Down’ (Album
‘Exile On Main St. del 1972), quella dei Led Zeppelin riferita a ‘Travelling
Riverside Blues’ contenuta nell’album ‘Coda’ del 1982, quella dei Red Hot Chili
Peppers riferita a ‘They’re Red Hot’ contenuta nell’album ‘Blood, Sugar, Sex,
Magik’ del 1991 e per concludere quella degli White Stripes (‘Stop Breakin’
Down’) contenuta nell’album omonimo del 1999.
Ecco
la cover tratta dall’album originale ‘Exile On Main St.’ dei Rolling Stones.
E
ricordate, il tempo distruggerà ogni cosa, tranne i patti con il diavolo…
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