Domenica
scorsa mi sono sentito come quel 06 Aprile del 1994. Avevo appena quattordici
anni e soltanto la sera prima Kurt Cobain se n’era andato, con un colpo di
fucile sparato in gola. Tradito. Questa era la sensazione in quella giornata di
tristezza assoluta.
Ricordo l’emittente di Vittorio Cecchi Gori, VideoMusic, che
trasmetteva i video dei Nirvana uno dopo l’altro. Da ‘Smells Like Teen Spirit’
a ‘Heart-Shaped Box’. Un commiato perfetto, uno dei primi tributi in diretta di
un personaggio che ci aveva lasciato. O meglio, per quanto mi riguarda,
tradito.
Da quei video cominciavo ad osservare in maniera diversa quello che
ascoltavo dal mio vecchio walk-man. I suoi occhi, azzurri come il cielo ma così
pieni di tristezza e rabbia.
E io, adolescente che si apprestava ad andare a
studiare a Bergamo Città, che lo credevo un mio amico, un bravo ragazzo con
l’aspetto di un angelo, pronto a sparare merda sul classico pop inglese che
girava ininterrottamente nelle radio in quel periodo.
Era
semplicemente un alternativo, era grunge, punto.
Così
non ero né arrabbiato, né triste ma semplicemente ferito. Come se avessi perso
un amico, nonostante lo potessi riascoltare in ogni momento e fino alla fine
dei miei giorni.
Domenica
sera, 27 Ottobre 2013 se ne è andato Lewis Allan Reed o, più semplicemente, Lou
Reed. Ci ha lasciati in circostante diverse, nessuno sparo e nessun suicidio,
nonostante tutto.
Un
trapianto di fegato riuscito non troppo bene, le svariate medicine assunte e
gli elevati rischi di un rigetto.
Così Lou ha resistito un anno e mezzo prima
di spegnersi silenziosamente, come il suo esordio con i freddi ma spettacolari
Velvet Underground.
Anche
questa volta mi sento ferito, come se un altro mio amico se ne fosse andato per
sempre. Mi ha accompagnato in momenti di disperazione e nei miei viaggi,
sussurrandomi nelle orecchie ‘Perfect Day’ oppure ‘Vicious’ oppure ‘Satellite
Of Love’.
Ricordo
un pomeriggio a Manhattan Beach, Los Angeles mentre camminavo nel sole
californiano e fischiettavo con il mio mp3 nelle orecchie ‘Walk on the
Walkside’.
Non
vi annoierò con tutta la sua discografia e tutti i problemi passati da piccolo.
Nemmeno della sua influenza in generi musicali completamente diversi tra loro
come il classic rock, il glam, il punk e la new wave. Sicuramente senza di lui
gente come David Bowie oppure gruppi come Joy Division o più tardi ancora i R.
E. M. non sarebbero mai esistiti.
Volevo
solo dirvi, miei affezionati darklings, che la musica ha uno di quei ‘mostri
sacri’ in meno, che le mie orecchie e il mio cuore non avranno più un cantore
come Lou a tenermi compagnia la domenica mattina e non solo.
Lo
voglio ricordare nello splendido film di Wayne Wang ‘Blue In The Face’ del
1996, tratto da un racconto dello scrittore Paul Auster, interpretare ‘L’uomo
con gli strani occhiali’.
E
volevo salutarvi con uno dei pezzi più incredibili del suo repertorio. Era il
1967, e negli Stati Uniti d’America costernati dalle contraddizioni, Lou
rivendicava la sua bisessualità dichiarando al momento di ‘aspettare il suo
uomo’ che ‘arriva sempre in ritardo e non è mai in anticipo’…ladies and gentleman 'I'm Waiting For The Man'.
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