mercoledì 24 aprile 2013

Anguille - Eels


Finalmente una giornata calda, di primavera. Niente acqua in questo diciotto aprile dell’annus horribilis per eccellenza, niente pioggia per le mie anguille preferite, pronte a ritornare sullo splendido palco dell’Alcatraz in Milano City.

Mark Oliver Everett detto più semplicemente Mr. E, leader indiscusso degli Eels direttamente da Los Angeles, California mi affascina con la sua musica e con le sue parole dal lontano 1996, anno di quel ‘Beautiful Freak’ che, nonostante tutto, era pronto a cambiare delle sonorità importanti nel marasma grezzo e garage di quel movimento giunto ormai al termine di nome ‘Grunge’. Kurt Cobain era oramai deceduto da un paio d’anni e le camicie a quadrettoni fuori dai jeans erano passate di moda. E’ in questo scenario che Everett propone una sorta di blues-folk dai testi velenosi, intensi ed estremamente tristi come se volesse esternare tutto quell’immenso dolore che da una vita lo accompagna.
Madre morta per una lunga malattia, la sorella Elizabeth trovata suicida la camera adiacente alla sua, proprio durante la pubblicazione del primo album.
Un lutto mai elaborato fino in fondo, esploso poi definitivamente con l’album ‘Elettro-Shock Blues’ del 1998.
Poi un lungo percorso, marce funebri, blues melanconici e folk che raccontano la strada ma soprattutto le persone, i loro sentimenti e quello che significano.



Io li ho lasciati nel 2010 durante il tour dell’album ‘Tomorrow Morning’ , sempre qui all’Alcatraz. Mi aveva colpito la tristezza e la debolezza di Mark, nascosto dietro una barba foltissima. Lo trovati terribilmente vero e provato, mi colpì nell’anima. Ma sicuramente non potevo dire di essermi divertito.
Ora ritrovo gli Eels (letteralmente ‘anguille’ in Italiano per chi ancora non lo avesse capito) in un’altra dimensione. Simpatici, grintosi e tremendamente blues. Di quelli che ti entrano nelle vene, di quelli che penetrano nella testa e nel corpo e ti fanno saltare. Ecco quindi snocciolare tutti i brani dell’ultimo splendido album dal titolo ‘Wonderful, Glorious’.
La potenza di ‘Bombs Away’, l’invitante singolo ‘Peach Blossom’ e via via tutti gli altri splendidi brani conditi con un trittico di storici pezzi come ‘Fresh feelings’ ‘Elettro-Shock Blues’ e ‘My beloved monster’.



Una serata splendida insomma, due ore di grandissima musica che mi ha riportato a Los Angeles, a quel clima così sereno come se il sole non dovesse scomparire mai. Questo nonostante i dolori lancinanti alle mie ginocchia, doloranti per le tre ore trascorse in piedi ed immobile. E’ inutile la vecchiaia si fa sentire. E la cosa non fa più così ridere.

Questo concerto mi ha alleviato il dolore per lo scempio a cui, come la maggiore parte di voi Italiani, ho assistito nel fine settimana. La sconfitta totale della sinistra come valore, l’ennesima presa in giro di anguille politiche pronte a scivolare dalla realtà, dai problemi reali del paese. Persone che non hanno più il senso della cose, di come stanno davvero le persone e di che cosa succede veramente nella quotidianità.
Il Partito Democratico che ha praticamente effettuato un ‘congresso interno’ sulla pelle degli italiani e poi la vergogna di non sapere eleggere nemmeno un Presidente della Repubblica. Per non parlare dei soliti noti, della destra che ci ha governato per vent’anni.

Sono sempre più preoccupato per il futuro, per tutto quello che mi circonda. Spesso le battaglie rimangono tali e non portano a nessuna conclusione.
Ma continuerò a battermi per evitare questo schifo perché alla fine, prima o poi, un posto migliore se deciderò di avere una bambino io voglio lasciarlo. E per tutti quelli che mi seguono anche qui e commentano queste parole.
Fatemi sentire che ci siete, che non tutto è perduto.
Ditemi che le uniche anguille che vi piacciono sono gli Eels di Mr. E e non quei parassiti con i quali tutti i giorni dobbiamo avere a che fare.

Ditemi che anche in questo caso il tempo distruggerà ogni cosa.

Ecco un video del brano ‘Wonderful, Glorious’ registrato a Milano direttamente in presa diretta e poi il video di ‘The tournaround’ registrato a Manchester, UK il 17.03.2013.
A mio modesto parere, il pezzo migliore dell’intero album.

Buon ascolto e a presto, miei darklings.



venerdì 12 aprile 2013

Quarantuno Colpi - Obama e il Boss per il grande disarmo Americano




‘Oggi troppi ragazzi di questa città [Chicago, Illinois n.d.r.], ragazzi che vivono a volte solo a qualche isolato da grattacieli scintillanti, da parchi rigogliosi e da musei ed università, è come se vivessero in altri stati, addirittura in un altro continente. Alcuni di loro non hanno mai nemmeno visto il lago. Perché invece di trascorrere le giornate godendo delle ricchezze della città, devono guardarsi le spalle. Hanno paura di camminare da soli. Hanno paura di camminare in gruppo perché potrebbero essere scambiati per membri di una gang e questo li metterebbe in pericolo. Migliaia di ragazzi vivono in quartieri nei quali il funerale di un adolescente è considerato un fatto sventurato ma non insolito. […]
Non sto parlando di cose che accadono in zone di guerra, in qualche angolo del mondo. Parlo di una cosa che accade nella città che consideriamo casa nostra.’

Queste sono alcune delle parole che Michelle Obama ha pronunciato a Chicago, nell’Illinois Mercoledì 10 Aprile 2012 per spiegare ciò che accade negli Stati Uniti d’America ogni giorno, da sempre. Per spiegare che comprare un’arma da fuoco come se fosse una caramella in un negozio significa decidere della vita di qualcun altro.

Barack Obama sta portando avanti da mesi una battaglia contro il disarmo, l’ 82% delle famiglie a stelle e strisce possiede un’arma da fuoco per ‘legittima difesa’. 823 milioni di armi da fuoco possedute da privati durante l’ultimo censimento avvenuto nel 2004.
I morti per arma da fuoco sono stati 30.694 nel 2005 dei quali 17.002 si sono suicidati.
330 persone sono state uccise dalla polizia, 221 per motivi non accertati e ben 789 per causa accidentali.
Numeri da pelle d’oca, numeri che il Presidente degli Stati Uniti d’America, per la prima volta nella storia, affronta a petto in fuori cercando di portare alla camera a al senato del Congresso Nazionale una completa riforma per limitare l’acquisto da parte di privati cittadini di un’arma da fuoco.

Obama trova opposizione sostanzialmente da molte categorie. La trova chiaramente dai Repubblicani (soprattutto dagli esponenti degli stati del Sud) e la trova dai commercianti a da tutto quello che si muove intorno alle fabbriche di armi. Sarà una battaglia durissima e pressante quella di Barack all’ interno delle istituzioni.

Questo dibattito vige da anni in America e in tutto il mondo. Come può il paese definito da loro stessi, con enorme autoreferenzialità, il paese più libero del mondo permettere che tutto ciò accada? Come può permettere le stragi nelle scuole con ragazzi che impugnano fucili e Calibro 9?

Scrivo di questo argomento per ricondurlo al post che in tantissimi avete letto, quello riferito a Federico Aldovrandi e Stefano Cucchi.
Lo scrivo per ricordare che ogni giorno, ovunque, degli innocenti muoiono fucilati o pestati gratuitamente dalla polizia, dallo Stato.

Il 04 febbraio 1999 il ventiquattrenne Amadou Diallo viene freddato con quarantuno colpi di pistola a New York, nel quartiere del Bronx da quattro poliziotti. Aveva semplicemente messo le mani in tasca per prendere i documenti alla richiesta di uno dei poliziotti di farsi riconoscere mentre camminava per strada. La loro ignoranza li ha portati a credere che Amadou stesse estraendo una pistola. Quarantuno colpi.



Bruce Springsteen, The Boss, il vero cantautore della storia Americana degli ultimi quarant’anni, il 04 giugno 2000 ad Atlanta presentò il suo nuovo brano dal titolo ‘American Skin (41 Shots)’. Lo presentò durante l' ultimo spettacolo prima del grande tour che avrebbe dovuto toccare in più tappe la città di New York.

La canzone parlava dell’omicidio di Amadou Diallo, di come sia facile terminare la vita di un’altra persona con un’arma da fuoco.
Il sindacato della polizia di New York la Patrolmen’s Benevolent Association mise in atto una campagna per boicottare i concerti di Bruce Springsteen.

’41 colpi e prenderemo quella strada
attraverso questo fiume di sangue verso l’altra riva. 
41 colpi ho gli stivali incrostati da questo fango,
siamo stati battezzati in queste acque e nel sangue degli altri.
E’ una pistola? E’ un coltello? E’ un portafoglio? Questa è la tua vita.
Non c’è nessun segreto.
Nessun segreto amico mio,
Puoi essere ucciso anche solo perché
Vivi nella tua pelle americana’.

Sosterrò la battaglia di Obama, Barack e Michelle fino alla fine. Anche il popolare attore Jim Carrey ha recentemente appoggiato con forza questa iniziativa, la Fox News Americana lo ha criticato pesantemente, minacciando di non mandare mai più in onda un film con Carrey protagonista.
Mi batterò perché queste cose non vengano mai dimenticate.

Perché, per fortuna, c’è ancora qualcuno che cerca di rendere migliore questo mondo disastrato.

Buon ascolto, con il grandissimo The Boss e ricordate che il tempo distruggerà ogni cosa, tranne il ricordo di queste barbarie.





giovedì 4 aprile 2013

Federico, Stefano, i Massive Attack. Gli innocenti non hanno nulla da temere.


25 Settembre 2005. L’autunno comincia a sentirsi nell’aria emiliana. Ferrara ancora non si è coperta, le ragazze hanno ancora le maniche corte e solo qualche felpa per la sera, dopo la discoteca. 
Come può essere la vita a diciotto anni. 
Cosa si può pensare a diciotto anni, in un locale pieno di coetanei. Qualche drink, magari una ‘canna’. Tanto per divertirsi un po’, mettere da parte la scuola, qualche diverbio in famiglia ed essere più disinibiti con la ragazza che ti piace così tanto. Chissà cosa pensava, Federico, la notte di quel 25 settembre in Via Ippodromo, a Ferrara. Magari ad una domenica mattina di sonno, magari a quanto avrebbe fatto il Bologna, impegnato a Bari per la quinta giornata di Serie B.

Enzo Pontani, Luca Pollastri, Paolo Forlani, Monica Segatto. Questi sono i nomi e ci cognomi da non dimenticare. Quel 25 settembre dell’anno 2005 sono queste le persone che hanno sfasciato sul corpo di Federico due manganelli.
Traumi al cranio, al volto e alle costole. Arresto cardiaco per lo schiacciamento del torace sull’asfalto, calci e pugni sferrati da agenti della Polizia di Stato.
Chiameranno un’ambulanza alle ore 06:10 di quella mattina. 
Dichiareranno nel referto che Federico era considerato 'invasato violento in evidente stato di agitazione'; sosterranno di 'essere stati aggrediti dallo stesso a colpi di karate e senza un motivo apparente'.

Federico Aldovrandi è deceduto durante quell’aggressione, la mattina del 25 settembre 2005 alle ore 06:18. La famiglia venne avvertita soltanto alle ore 11:00.
A distanza di otto anni l’Italia ha già dimenticato. I poliziotti chiedono il reintegro per gli autori di questa tragedia immane, condannati a tre anni e sei mesi di reclusione per omicidio colposo. Il 29 gennaio 2013 le condanne vengono sostanzialmente svuotate decretando sei mesi di reclusione per i condannati, evitando i tre anni della pena stabilita grazie all’indulto. L’agente Monica Segatto favorisce, inoltre, del decreto del Ministro Severino (governo Monti) e sconta la pena agli arresti domiciliari.

Chissà Federico come l’avrà presa. Diciotto anni, una ragazza nella testa. La scuola da finire. Una famiglia che lo aspettava. E lo aspetta ancora. Con un cartello che mostra la sua testa squartata e sanguinante da quei manganelli. Aspetta giustizia.
Il 25 settembre 2005 il Bologna vincerà a Bari 1-0 grazie ad un goal di Bellucci al dodicesimo minuto di gioco. Federico non lo saprà mai.


Roma 15 ottobre 2009. Stefano lo sapeva che non era nel giusto. Ma non ci pensava. Aveva qualche grammo di hashish nella tasca. Aveva già deluso sua sorella, la sua famiglia. Era un ex tossicodipendente e più di una volta era stato affidato a comunità di recupero. Passeggiando pensava alla sua Lazio. Pensava che tre giorni dopo avrebbe giocato contro la Sampdoria e sarebbe andato allo stadio Olimpico di Roma ad assistere al match.

Di certo non si sarebbe aspettato un arresto in fragranza di reato. E nemmeno un processo per direttissima a Regina Coeli il giorno successivo.

Stefano Cucchi è deceduto, il 22 ottobre 2009 all’ospedale Sandro Pertini di Roma dopo una settimana di agonia. La sua vescica conteneva 1,4 litri di urina. Il suo corpo non conteneva più zuccheri era da una settimana in ipoglicemia.

Sarebbe bastato un cucchiaino di zucchero. I suoi occhi erano tumefatti, completamente viola e anche il suo torace. Stefano pesava una settimana prima 58 kg. E’ morto che ne pesava 37, completamente denutrito. Stefano è stato pestato e ammazzato di botte dagli agenti penitenziari del carcere Regina Coeli.
Ad oggi nessun agente di polizia è indagato.

Il 18 ottobre 2009 mentre Stefano veniva ricoperto di calci e pugni la sua Lazio pareggiava con la Sampdoria per 1 a 1. Fu il brasiliano Francolino Matuzalem a pareggiare il vantaggio di Pazzinii.

Stefano non lo saprà mai.


Il 07 novembre 2009 i Massive Attack suonarono a Milano. Il gruppo trip-hop di Bristol non veniva in Italia da molto tempo. Fuori una pioggia battente, il Palasharp di Assago ricolmo.
A metà dello splendido ed indimenticabile spettacolo partirono le note di uno dei loro pezzi migliori ‘Inertia Creeps’. Sullo schermo alle spalle del gruppo comparirono delle frasi di quel periodo relative a blande notizie ed al gossip. Tutte le notizie erano in lingua Italiana.
Durante il crescendo del pezzo ad un tratto una grossa scritta: 

STEFANO CUCCHI: VERITA’ E GIUSTIZIA 
e poi ancora 
GLI INNOCENTI NON HANNO NULLA DA TEMERE

Un gruppo arrivato dal cuore della Gran Bretagna a chiedere giustizia per gli innocenti.

Questo vuole essere il mio ricordo. Non si può morire a diciotto anni, a trentuno anni. Non si può morire a qualunque età se ad ucciderti è lo stato. Lo stato di polizia.
Le stesse forze dell’ordine che dovrebbero difendere i cittadini onesti, che dovrebbero educare i ragazzi come Federico e Stefano. Gli agenti di polizia che dovrebbero prendere per mano le ingiustizie ed aiutare i genitori di tutta Italia.

Il terzo mondo, uno stato di polizia e dittatura.

Io non dimentico.
I Massive Attack non dimenticano.

E questa volta il tempo distruggerà ogni cosa sì ma non il ricordo di questi ragazzi e il tempo stesso non dovrà fermare la battaglia quotidiana per fare sì che queste cose mai più accadano. Nonostante tutto.

Cominciamo a cambiare queste, di cose.

Ecco il video di quel concerto ripreso da un semplice telefono cellulare, il sound non è dei migliori ma si vedono chiaramente le frasi sullo schermo.


Ed ecco il video ufficiale del brano se volete godere appieno dello splendido sound del gruppo di Bristol.